Il post scritto qualche giorno fa, intitolato "Il baratto oratoriale", ha suscitato in alcuni lettori reazioni non positive che vanno dall'inopportuno all'indignato. Una sua rilettura mi ha fatto capire che il messaggio principale che volevo trasmettere risultava "oscurato" dai riferimenti da me utilizzati per supportare concetti che non avevano nulla a che vedere con la parrocchia poggina, ma si riferivano al modo di amministrare e fare politica nel nostro paese. Inoltre alcuni comportamenti che intendevo attribuire a pochi personaggi che frequentano la parrocchia potevano sembrare riferiti alla istituzione parrocchiale.
Non ho difficoltà ad ammettere che alcuni passaggi di quell'articolo erano mal scritti, con termini inappropriati che potevano portare il lettore verso interpretazioni che sono lontane mille miglia dal mio modo di pensare e di sentire. Aggiungo che alcune interpretazioni malevole di ciò che ho scritto mi sono sembrate un pò forzate e strumentali, perchè è palese che, anche in presenza di consigli e suggerimenti che tutti riceviamo in gran quantità prima di ogni elezione, il voto elettorale di ognuno di noi appartiene solo a noi stessi e il fenomeno che volevo sottolineare era quello dell'innegabile pressione psicologica che viene esercitata in occasione delle tornate elettorali e non certo la presenza di un mercimonio di voti in sagrestia.
Di questo mi sono scusato direttamente con don Alessandro e lo faccio ora con chi, tra i parrochiani di Poggio, si sia sentito offeso.
Lungi da me, infatti, attaccare una istituzione come la Parrocchia cui riconosco il ruolo di isola nella nebbia, in una società in cui i valori appaiono spesso deboli e incerti. Nella nostra comunità capoterrese questa affermazione ha un valore ancor più forte. Di certo nessuno dimentica il ruolo svolto dalle Parrocchie in occasione della tragica alluvione del 22 ottobre 2008.
Parlando di Poggio, poi, non posso non sottolineare il grande lavoro svolto con i bambini e i ragazzi che nel nostro centro residenziale hanno veramente poche opportunità di svago e di crescita sociale al di fuori della famiglia. L'elenco delle iniziative portate avanti dalla parrocchia di Poggio potrebbe essere chilometrico: portare i ragazzi al mare, a fare sport (purtroppo) in strutture distanti dalla chiesa, addirittura in discoteca, organizzare corsi di musica, tornei e così via.
Encomiabile anche l'impegno con i malati. Non entro poi in merito ai valori che stanno "al di sopra" e che io, da credente, considero come un faro per il mio cammino di vita.
Ovviamente nel mio articolo non ho mai affermato niente che fosse in contrasto con tutto questo. Intendevo, invece, descrivere i meccanismi della politica, di cui tutti siamo vittime (parrocchia compresa), e che erano poi il vero obiettivo del mio argomentare. L'ho fatto utilizzando l'esempio del campo oratoriale che il comune non ha voluto concedere alla Parrocchia, mettendo l'istituzione parrocchiale in una luce che non solo non corrisponde alla realtà, ma nemmeno alla mia personale considerazione, che è elevatissima. Insomma ho fatto un pasticcio ed era doveroso che mi scusassi per il fastidio creato ed esprimessi ciò che penso veramente in modo (spero) un pò meno confuso. Ho già proposto alla "parte offesa" di fare un fioretto, dedicando alcune giornate alla realizzazione dei nuovi campi oratoriali, dovunque essi siano realizzati (speriamo presto).
Poi, per carità, su alcune situazioni si può anche non essere d'accordo e talvolta mi sembra che il buon Alessandro venga tirato per la giacchetta (anzi per la tunica) da qualche parrocchiano con molto tempo libero, che vorrebbe strumentalizzare l'istituzione parrocchiale per fini legati al complesso e difficile momento che sta vivendo la nostra comunità. Sono queste persone che fomentano le divisioni nella comunità e non certo il parroco che non è ovviamente responsabile di cio che i suoi parrocchiani fanno e, soprattutto, dicono.
Il desiderio di disporre di campi sportivi per i ragazzi è una necessità, non un optional. A Poggio, a differenza di tante altre parrocchie, non c'è nemmeno un campetto e l'alluvione ha portato via quelli della zona sportiva. Realizzarne alcuni nel terreno comunale che si trova dietro la Terrazza è una soluzione, soprattutto se si fossero realizzati in fretta. Come tutti sanno il Comune non ha voluto cedere quell'area al parroco che ha anche organizzato una raccolta di firme per supportare la sua richiesta. In questa vicenda il ruolo della Cooperativa è stato marginale. Non essendo proprietaria dell'area richiesta, certamente non poteva far nulla per favorire o per ostacolare (come qualche malalingua ha detto) questo progetto. Inoltre i rapporti tra la giunta capoterrese e la Cooperativa sono notoriamente e storicamente molto freddi. L'unico momento di accordo è sempre stato quello in cui il Comune continuava a "sbolognare" la gestione delle infrastrutture pubbliche a una Cooperativa che continuava a mantenerle.
La situazione economica recente della Cooperativa non ha consentito di realizzare nemmeno un intervento sportivo "provvisorio" in attesa della realizzazione di strutture più complesse. L'area sportiva del calcio, per quanto malridotta, è stata messa a disposizione non appena il contratto che la legava alle iniziative del tennis è stato risolto. Buone notizie giungono dalla Regione che ha recentemente sovvenzionato il ripristino delle strutture danneggiate dall'alluvione, ma considerata la velocità con cui vanno avanti gli altri lavori ...
Ad ogni modo l'argomento su cui volevo focalizzare l'attenzione era un altro. In Italia ogni anche minimo intervento da parte di chi amministra viene visto in funzione elettorale, anche un piccolo campetto oratoriale. Spesso anche quello che sarebbe un diritto viene utilizzato come se fosse un "favore", per ottenere una riconoscenza al momento del voto, intesa come sudditanza psicologica, o comunque una qualche benevolenza, che fa sempre comodo. Anche nella tempistica di esecuzione delle opere si assiste ad una strana concentrazione degli interventi nel periodo pre elettorale. Non è cosi?
E' una partita a scacchi, una specie di danza che chi sa far bene politica balla come fosse una quadriglia: "Tu devi venire da me a chiedere e io ti dirò di no, poi ti dirò forse e prima delle elezioni ti farò credere che sia un si".
Non c'è nulla di illegale in questo, quando ho usato il termine "baratto" mi riferivo ad una condizione psicologica in cui tutti noi sudditi della partitocrazia ci troviamo molto spesso.
Nel frattempo passano gli anni, i campetti oratoriali, i ponti, i canali, gli argini non vengono realizzati. E' un prezzo altissimo che paghiamo alla "mala politica".
Ma dirò di più. Anche chi gioca questa partita stando dalla parte dell'amministrazione, deve giocare a questo gioco oppure lasciare. Che sia di destra o di sinistra o di centro, se non fa così non otterrà mai i voti necessari per essere rieletto. In quest'ottica anche i vari Marongiu, Dessì, Demuru etc., tanto per restare in ambito capoterrese, danzano seguendo le regole del ballo. Se decidessero di improvvisare, rompendo gli schemi, andrebbero probabilmente incontro a sonore sconfitte e sarebbero gli stessi elettori a punirli. Il risultato di questo gioco è disastroso per il paese. Siamo assuefatti da questo sistema, tanto da vivere una specie di "sindrome di Stoccolma" che ci fa credere che questo sia l'unico modo in cui le cose possono andare. Basterebbe mettere il naso un po' fuori dall'Italia, magari verso nord, per vedere che così non è. Certamente non mi aspetto che a cambiare le regole del gioco siano i politici de sa biddixedda nostra.