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giovedì 25 febbraio 2010

Scartoffie

Fine Febbraio 2010, facciamo il punto. Il 22 ottobre scorso abbiamo celebrato l'anniversario dell'alluvione. In quel periodo la grande novità era rappresentata dal recente stanziamento dei famosi 35 MLN di euro (lordi) per la messa in sicurezza del territorio. Fondi insufficienti per fare tutto, ma comunque soldi benedetti.
Un'altra buona notizia di quel periodo fu la proroga dello stato di emergenza per un altro anno. Insomma ci sono i soldi e ci sono anche gli strumenti per operare velocemente. Commissario per l'emergenza, il Presidente della nostra Regione. Quindi tutto perfetto, popolazioni in vibrante attesa dei lavori, soldi in cassa. Sembrerebbe non ci fossero ostacoli per passare, finalmente, dalle parole ai fatti.
Novembre, dicembre, gennaio e febbraio se ne sono andati. Che cosa è stato fatto?

Facciamo un elenco:
1. Fase preliminare del Piano Hydrodata
2. Fase preliminare della progettazione del Ponte di Pauliara
3. Piccoli interventi di risagomatura dell'alveo presso alcuni ponti
4. Demolizione ex ponte per Pauliara
5. Lettera alla Cooperativa con ingiunzione per la messa a norma, pena l'abbattimento etc.

E i grandi lavori sull'alveo, e i ponti, e la zona sportiva di Poggio dei Pini? e la messa in sicurezza di Rio S. Girolamo e Frutti d'Oro 2? e il rimboschimento, le briglie nel canaloni? NIENTE

Insomma ci vuole poco a capire che si sta perdendo tempo prezioso.
Ma andiamo un più a fondo.
Il Piano Hydrodata sarebbe quel famoso "Studio Idrogeologico" di cui si parla sin dal primo giorno del post alluvione. Si è sempre detto che per la realizzazione di tutte le opere di messa in sicurezza del bacino idrografico si sarebbe dovuto attendere questo benedetto studio. Un vero caposaldo. Non a caso, una delle primissime attività finanziate nell'immediato post-alluvione, con ben 500 mila euro, è stata proprio "lo studio".
Non si capisce come mai la Regione sarda, invece di partire a spron battuto e utilizzare la somma stanziata, abbia affidato "lo Studio" a una società spendendo una cifra che si aggirerebbe intorno ai 70 mila euro.
Immagino che anche per gli studi idrogeologici valga la legge del commercio secondo cui il valore del bene è commisurato al suo costo. Se questo studio è così importante, perchè spendere solo 70 mila quando erano stati stanziati già 500 mila? E' prevedibile che questo risparmio si trasformi in una riduzione della qualità e in un ritardo nei tempi di realizzazione dello stesso? Direi che è altamente probabile.
Da quello che ho potuto capire la società Hydrodata dispone di grande competenza in questo settore, ma restano perplessità sull'impostazione di questo studio.
Non sorprende, con tali premesse, che il risultato della prima fase dello studio sia stato a dir poco deludente (il realtà venne definito "un incubo"). Tra poco verrà presentata la seconda versione del Piano e tutti si attendono profonde modifiche. Dobbiamo insomma sperare che il dottore non faccia al malato più danni di quanti ne abbia già causato la malattia.


Del Ponte di Pauliara adesso sappiamo almeno come sarà fatto. Una simulazione tridimensionale dell'opera è stata fatta circolare di recente, ma nemmeno una pietra è stata ancora posata. Anche il Ponte, così come lo studio, era stato finanziato immediatamente. Siamo ancora alla fase di progettazione e nel frattempo i residenti continuano a transitare sul guado. A pochi metri di distanza è stato definitivamente rimosso il manufatto in cemento del vecchio ponte. Non era crollato, come talvolta si è scritto erroneamente, ma ormai costituiva solo un triste monumento al disastro. La nuova strada con il nuovo ponte saranno costruiti qualche centinaia di metri più a valle. Abbastanza curioso il fatto che qualche residente pretendesse che la nuova strada venisse ricostruita in quel punto a ridosso di una diga e alla fine di un canale scolmatore, dove purtroppo sono morte due persone.


C'è anche poco da dire su quei piccoli lavori di risagomatura dell'alveo effettuati in alcuni punti. Sono stati eseguiti da Comune e si tratta evidentemente di interventi che ben poco incidono sulla tanto attesa "messa in sicurezza" del Rio S. Girolamo. Don't shoot the Piano Player. Non è dal Comune o addirittura dalla Cooperativa che dobbiamo pretendere la ricostruzione e la messa in sicurezza. L'alluvione di Capoterra è una calamità Nazionale e sono quindi gli enti statali e regionali quelli che devono risolvere questa situazione.

In questo contesto si inserisce la lettera inviata dall'Ass.to LL.PP. della Regione alla Cooperativa Poggio dei Pini. Di questa comunicazione, che ha procurato non poche preoccupazioni tra tutti i capoterresi, si è parlato nella stampa locale. Sinteticamente la Regione dice alla Cooperativa: "sei sempre tu il concessionario della diga. La diga non è a norma, se non la metti a norma ti obblighiamo a demolirla a tue spese e ti facciamo anche 5 mila euro di multa."

Questa comunicazione ha rappresentato un succoso boccone per quei giornalisti che sono sempre in attesa di qualche evento disastroso e, se non c'è, lo ingigantiscono un tanto per rendere la notizia "più interessante". Era già successo più volte e spesso c'era passata proprio la diga. Hanno scritto e detto di tutto: crollata, marmellata, pronta a crollare dopo 20 minuti, diga assassina e cosi via. Fui io a parlare per primo della "sindrome del Vajont". Ma perche? Intanto lo scenario di una diga che crolla colpisce l'immaginario collettivo più di una fogna che sparge liquami o dell'aria irrespirabile di una grande città. Eppure sappiamo che di questi eventi sono proprio gli ultimi due ad essere più probabili e dannosi. Il giornalista è li che attende gli tsunami, i terremoti, i crolli delle dighe per lanciare notizie succose. Ma non basta, il lago è un capro espiatorio ideale per chi ha urbanizzato questo territorio in modo incosciente e poi, un pizzico di invidia tutta sarda per quel piccolo angolo di paradiso. Fortunatamente molti capoterresi hanno avocato a se la tutela su questo lago, comprendendo che la sua fine sarebbe una grave perdita per tutti.

Lo scenario disastroso evocato dall'articolo del giornale mi ha fatto venire alla mente un passo della Bibbia che mi ha sempre colpito, sin da quando ero bambino.

Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: 'Abramo!'. Rispose: 'Eccomi!'. Riprese: 'Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò'” (Gen 22, 1-2).

Come al vecchio Abramo tanti secoli fa, oggi alla Cooperativa viene chiesto non solo di rinunciare a un elemento naturale che rappresenta, per la comunità capoterrese, un bene identitario paragonabile a un figlio, ma addiruttura viene chiesto di ucciderlo con le proprie mani. Ovviamente una cosa del genere non accadrà, ma qualcuno ha voluto lo stesso giocare il ruolo dell'Onnipotente.

Stiamo parlando di due epoche distanti millenni e le motivazioni del verso biblico sono ben spiegate dagli studiosi delle sacre scritture. Vola molto più basso il redattore di questa moderna missiva, limitandosi ad applicare più o meno alla lettera il regolamento. Mentre si lavora a fatica per ripristinare il territorio, si devono anche espletare gli atti buricratici, emettendo scartoffie. La burocrazia non considera minimamente la recente calamità naturale, la presenza di studi e di interventi che modificheranno profondamente il bacino del S. Girolamo e quindi, evidentemente, anche la diga; non considera che quel manufatto idraulico, per quanto sinora gestito da un soggetto privato, rappresenta, de facto, un elemento di pubblico interesse ed utilizzo da molti decenni.
Insomma quella che tutti abbiamo letto è un foglio di carta che denota la mancanza di una visione globale del problema odierno del Rio S. Girolamo e si dedica semplicemente all'applicazione di una normativa. Ma allora chi ha una visione complessiva del problema, chi sta mandando avanti quel complesso processo di ricostruzione, composto da decine di pedine che si muovono. Dovrebbe essere il Commissario delegato per l'emergenza Ugo Cappellacci, oppure qualcuno da lui incaricato.

L'impressione è che non ci sia alcuna regia e che le cose vadano avanti alla rinfusa. Alla Regione manca il numero 10, ogni giocatore ogni tanto tocca la palla, si formano mischie, si sprecano energie. Peccato che non sia un gioco e che a ogni acquazzone la gente tremi ricordando quei tragici momenti del 22 ottobre 2008.

Torniamo alla diga. Perche questa diga ha un concessionario privato? Tutti sappiamo che Poggio dei Pini è una specie di comune-ombra. Oggi è facile per tutti trovare inopportuna una gestione privata di infrastrutture che, nell'immaginario collettivo, vengono solitamente gestite dagli enti pubblici: strade, fogne, illuminazione, acquedotto, ma anche il verde e addirittura un lago con tanto di diga. Se tornassimo indietro nel tempo, ci sarebbe invece più facile capire. Quel lago esiste dagli anni 50, prima quindi della edificazione di Poggio dei Pini e di tutte le lottizzazioni costiere. Era un bacino ad uso agricolo. In quei territorio esisteva infatti la grande azienda agricola Saggiante. Negli anni 60 la Cooperativa ha insediato all'interno del Comune di Capoterra il suo progetto urbanistico che, non sono io a dirlo, costituiva un esempio di cooperativa e di villaggio avveniristico per quei tempi . Anche oggi mi sembra che si tratti comunque di una esperienza unica e di grande livello. Possiamo facilmente immaginare che in quegli anni il Comune di Capoterra non disponesse di grandi risorse. Il dopoguerra, con i suoi stenti, era appena dietro le spalle e i benefici del boom economico, in un'area rurale ad economia principalmente agricola, erano li da venire. In questo contesto appare chiaro che la Cooperativa, insediandosi in quel territorio, avrebbe dovuto provvedere a se stessa per tutte le necessità.
Sono passati 50 anni. Inutile che sottolinei quanto e come il mondo sia cambiato e come sia diversa la Capoterra di oggi rispetto a quella degli anni 60. Non voglio neanche provare a calcolare quanti soldi sono finiti nelle casse comunali dall'istituzione dell'ISI, poi diventata ICI dal 1991 ad oggi.
Con il passare del tempo anche il lago ha visto modificare il suo utilizzo. E' diventato l'emblema paesaggistico dell'intero comune, facendo bella mostra di se nelle cartoline e nel sito web comunale. Gli sposi si recavano sulle sue sponde per le foto di rito, le famiglie vi facevano le passeggiate e i bambini si divertivano con le anatre. Non certo solo i residenti di Poggio dei Pini. L'intero comprensorio montuoso capoterrese, assalito dagli incendi, ha mantenuto un valore paesaggistico elevato anche grazie alla presenza di questo prezioso punto di approvvigionamento idrico. Venendo poi ai temi dell'idrogeologia, non oso pensare a quanto fango sarebbe piombato a valle il 22 ottobre 2008 se il territorio montano non avesse avuto una copertura vegetale apprezzabile, anche grazie a quel lago.
Da quando questo invaso è gestito dalla Cooperativa il suo utilizzo non è mai stato "privato". L'accesso alle sue sponde non è mai stato riservato. Le sue acque non sono state utilizzate a fini privati. Il lago era di tutti, anche perchè le acque appartengono al demanio, però la diga era in carico alla Cooperativa che continuava, senza averne alcun beneficio, a gestire un bene di interesse pubblico. Con il passare dei decenni questa situazione diventava sempre più insostenibile e anche ingiustificata. Da alcuni anni i soci della Cooperativa, gravati come cittadini italiani da imposte varie tra cui una esosissima ICI, chiedevano alle amministrazioni della cooperativa di cedere strade, fogne etc. alla gestione pubblica. Non si è mai capito perchè le amministrazioni poggine abbiano ostacolato questo processo che oggi pare a tutti inevitabile. Sta di fatto che l'alluvione del 22 ottobre 2008 ha messo la parola fine anche a un certo modo di vedere Poggio dei Pini come uno stato autonomo, giochetto che è costato moltissimo ai soci della Cooperativa. Le loro risorse (lotti e quote sociali) sono state utilizzate per manutenzioni ad impianti fognari, strade, illuminazione invece che per realizzare nuovi servizi che migliorassero la qualità della vita.
Nel frattempo vengono emanate nuove normative che si applicano soprattutto alle dighe di nuova concezione. Ci sono decine di invasi, costruiti nei decenni precedenti, che sono tutti fuori norma. Allo stesso modo chissà quanti altri piccoli bacini idrografici come quello del Rio S. Girolamo sono inidonei a sopportare un evento meteorologico simile a quello del 22 ottobre 2008. Se fossi in loro, invece di perdere tempo con le scartoffie, farei effettuare una simulazione su tutti gli altri bacini idrografici sardi per vedere se esistono gravi emergenze che potrebbero impattare su centri abitati. D'altronde le esperienze passate dovrebbero servire a qualcosa no?
Allora torniamo alla nostra scartoffia inviata dalla Regione alla Cooperativa che sembrerebbe dire (ma in realtà non dice) : buttate giu la diga.
La diga non rispetta tutte le norme di sicurezza. In particolare il canale scolmatore, sebbene allargato, non potrebbe contenere i 400 mc/s del 22 ottobre. Giusto.. ma. Ma nessuna diga di quel tipo rispetta quei parametri anche perchè, non dimentichiamolo, l'evento meteo del 22 ottobre 2008 rappresenta il record regionale mai registrato per l'intensità di precipitazione. Questo non vuol dire che non possa ricapitare e che tutte le infrastrutture lungo il S. Girolamo non debbano essere adeguate a quei valori. Al contrario. Il Ponte sulla SS 195 è idoneo? il Ponte di S. Girolamo? L'alveo alla foce li regge 1000 mc/sec? La realtà è che tutti ponti sul S. Girolamo al massino potrebbero reggere portate di 100 mc/sec, con una piena superiore diventerebbero pericolose dighe. L'alveo del S. Girolamo, in qualunque punto lo si voglia analizzare, è una piatta distesa di pietrame, pronta ad esondare in caso di una nuova piena superiore ai 100 cm/sec. Se oggi ci fosse una piena come quella del 22 ottobre cosa pensate che accadrebbe? Assisteremmo a una nuova esondazione che interesserebbe le aree già esondate nel 2008 e forse gli effetti sarebbero ancora peggiori. Lungo l'alveo adesso ci sono molti più detriti. L'invaso di Poggio è stato ribassato e non potrà più svolgere alcuna azione di freno. E la diga "fuori norma"? Ha resistito all'alluvione del 2008, oggi la sua sezione è stata irrobustita, il canale è stato raddoppiato. Sembra facile prevedere che resisterebbe ancora. Allora queste lettere di demolizione forse dovrebbero essere mandate all'ANAS affinchè venga demolito il ponte sulla SS 195. Oppure dovrebbero essere mandate al Comune di Capoterra per quei ridicoli ponti da 80 mc/sec sotto i quali non passerebbe nemmeno un decimo della piena del 22 ottobre. Invece no. Mandiamo la lettera alla Cooperativa Poggio dei Pini.
La risposta, invece, deve essere un altra. Nelle altre regioni (es. Sicilia) si fanno in quattro e ottengono milioni di euro. La Regione Sardegna, dovremmo fare harakiri autodemolendo le poche risorse idriche che abbiamo.
Muoviamoci a mettere in sicurezza il territorio, utilizziamo i fondi già stanziati e chiediamone altri. Allarghiamo l'alveo, mettiamo in sicurezza le case e le zone urbanizzate, rifacciamo i ponti e, perchè no? mettiamo in sicurezza anche lago e diga che di tutte queste instrastrutture sono quelle che meglio hanno resistito alla piena.

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