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venerdì 12 agosto 2016

Caro futuro architetto

T. Maldonado 2006 - Anticorpi cilindrici
Mio caro architetto, io le chiedo un progetto. Perché il posto in cui vivo, È da un pò che mi va stretto. Eh, non è lo spazio perché mi posso adattare È che in questo posto, non c'è un posto per sognare.  (Daniele Silvestri, 2011).

Caro “futuro” Architetto
Il tema affrontato mette in risalto, in qualche misura, l’unicità storica e trasversale degli eventi urbani che, messi sotto esame, dovrebbero generare i presupposti per ridisegnare un possibile futuro di Poggio dei Pini.
I possibili rilievi mostrano i meriti di studio della facoltà algherese che consistono nella capacità di stimolare la riflessione, di favorire la discussione e di essere aperti a interpretazioni alternative. Qual è dunque la prospettiva che attende la dimensione urbana di Poggio dei Pini. Da tempo al centro del problema. Le novità globali che si vanno accumulando in questo periodo del nuovo millennio, tenuto conto dei veri motori della trasformazione senza, però, dimenticare la grave recessione economica (2008-2016), non sono sufficienti a disegnare una nuova tappa nella natura e nella formazione di una nuova Poggio di Pini che resta pur sempre un’agglomerazione urbana particolare. Il fenomeno e il decadimento che sta interessando Poggio dei Pini è di carattere generale, interessa molti altri centri simili periurbani e, addirittura per altri versi, interi paesi/comunità della Sardegna tanto che non si può più ignorare, poiché i forti cambiamenti economici e la recessione, ancora in atto, di questi ultimi anni hanno indebolito la struttura sociale e rafforzato la progressiva perdita del patrimonio architettonico, culturale, ambientale. Ciò che sembra prevalere è la progressiva differenza, tal volta aggravatasi, tra zone forti e zone deboli del territorio anche contigue. Il forte inurbamento e desiderio di città continua incessante per le giovani generazioni sia per le proposte di lavoro e sia per altre opportunità che la stessa città offre.

In Italia, di fatto, esiste un divario sempre più ampio tra i desideri e la possibilità di realizzarli. Tra i giovani, chi resta posticipa per il momento il sogno di fare il lavoro che piace e ogni altro progetto di vita nella speranza che qualcosa prima o poi cambierà, senza però rassegnarsi del tutto. Mentre lo Stato, "la più territoriale di tutte le istituzioni" (v. Roncayolo, 1981) e le amministrazioni discendenti continuano imperturbate ad eludere il problema.

Tornando a Poggio e alle sue pratiche sociali, direi che rispetto a queste dinamiche è opportuno considerare che identità, attaccamento al luogo e qualità del vivere rappresentano aspetti che, per nascere e affermarsi, hanno bisogno di tempo ed anche, con le parole Turri, di un’“adesione integra e totale al proprio mondo d’una cultura o d’una società” (Eugenio Turri 2008).

Cinquant’anni di P.d.P. forse non bastano a generare in una comunità fatta di inter-relazioni e di rapporto tra luogo e popolazione quel senso di appartenenza che caratterizzava la società tradizionale. A ciò si aggiungano i notevoli cambiamenti di Poggio in rapporto, per esempio, agli indici fondiari e territoriali urbanistici di piano, o allo stesso statuto sociale ormai debole rispetto alle esigenze di 2000 residenti e di non pochi city/villages user.
L’imponente transizione digitale informatica, Internet, la mobilità globale di persone e di merci, i rapidi cambiamenti epocali fa sì che i concetti di luogo, identità e appartenenza confluiscono all’interno di dimensioni e dinamiche virtuali. Il gruppo, gli abitanti e le persone, sono diventati attori
di una comunità virtuale in cui l’aspetto geografico e l’appartenenza del singolo ad una tradizione non costituisce necessariamente particolare radicamento o espressione di quel luogo. Se i termini di sostenibilità, biodiversità ed ecologia, spesso abusati negli ultimi tempi, determinano i fattori cruciali della crescita, e questa è la strada prescelta da Poggio dei Pini, si deve trovare lo spazio per un forte senso di responsabilità verso le generazioni future, senza nichilismo e cinismo opportunistico.

Da questo punto di vista, caro Architetto, non è poi così impossibile - su due piedi – iniziare a definire qualcosa di progettuale per individuare e organizzare le pratiche sociali enunciate, quali presupposti inderogabili nella riorganizzazione del territorio e nella specificità del luogo (Poggio).
Prima di tutto, ovviamente, chiedendo a coloro che a Poggio dei Pini sono di casa, ma allontanandosi un po’ dai banalissimi e ordinari temi architettonici - urbanistici ritualmente proposti dai CdA, sempre mirati verso obiettivi a tutti noti.

Proporrei di integrare le tue ottime proposte, se l’amministrazione esce dalla rocca degli scacchi, con un’esercitazione per ricercare e costruire attraverso la conoscenza del luogo e mediante interviste, in prevalenza qualitative rivolte agli abitanti, alle persone che visitano e che lavorano a Poggio, alle associazioni e altri protagonisti etc. alcune informazioni funzionali all’azione di uno studio per la riqualificazione di Poggio dei Pini.

Intervisterei gli abitanti di Poggio, e non solo loro, per ricavare informazioni necessarie per uno studio della qualità, cioè per migliorare la qualità urbana, affrontando almeno queste tematiche: Slow culture, patrimonio pubblico e privato, mobilità e sistema, green life e rifiuti, svago/sport/incontro, management turistico e culturale, energia, tecnologia e smart villages, service design, qualità dello spazio fruibile dai pedoni, cercando di partire dalla non conoscenza del luogo, con l’obiettivo di riuscire a comprendere le necessità dei city/villages user e dei residenti, la loro visione della città-quartiere e del territorio, avvalendosi di strumenti delle scienze umane quali le interviste e la tecnica del brainstorming. 
La libertà non è star sopra un albero non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione (Giorgio Gaber - la libertà 1972/73).

Saluti
Francesco Cilloccu

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