Vero, l'età dell'oro assoluto non è mai esistita, eppure, forse, un fondo di verità c'è, vi sono delle sfumature che lo caratterizzano; infatti, è altrettanto vero che, in trascorse fasi storiche e in contesti specifici, si sia davvero provata l'ebrezza, anche da noi, di vivere delle situazioni di benessere economico, culturale, sociale.
Il perché di ciò è intuibile: in generale, alcuni processi positivi allora in atto erano, probabilmente, più influenti di altri negativi, e hanno generato delle situazioni di benessere.
I territori e i contesti urbani posseggono una loro psicologia, un loro funzionamento variabile, generato dall'intrecciarsi dei comportamenti di chi li abita. Gli individui, nel manifestare la loro volontà verso le relazioni della più svariata tipologia, produ-cono e innescano dei processi -di tanto in tanto invisibili- che si muovono all'interno dell'ecosistema sociale, nell'urbano.
Tutto ciò è indolore? Mai, come ogni cosa. Può avere effetti ''graditi'' ed effetti ''per-versi'', che necessitano di essere gestiti, governati, e preservati se sono buoni.
Architettura e Urbanistica, rispetto a quanto descritto, rivestono un modo, un ap-proccio tecnico, che consente di proiettare tali comportamenti, tali tendenze, dal punto di vista fisico, sul territorio. Edifici e disposizione dello spazio urbano sono proprio il prodotto, il riflesso, dei comportamenti delle persone, sia nel bene che nel male.
Ciò detto, facendo riferimento al nostro ''habitat poggino'',si vuole porre in luce il fatto che, le pratiche sociali, siano il vero motore delle trasformazioni, il punto da cui è possibile ricominciare, programmare, pianificare. Di questo però, non è possibile compiere delle considerazioni standard, poiché ogni luogo ''ha le sue'', ma sta di fatto che, pensare ad un futuro senza che queste ultime siano identificate, governate, o di-rezionate verso qualcosa di costruttivo, significa assistere ad un futuro incerto e col-mo di immagini sfuocate, ma soprattutto temibile.
Da questo punto di vista, la nostra Località, Poggio dei Pini, ha bisogno di ricomin-ciare in tal senso, cosicché l'amministrazione e il ''poggino'' possano coltivare un rap-porto reciproco, di tendenza non evenemenziale, per ciò che concerne la progettazio-ne delle pratiche.
E' impossibile qui, su due piedi, definirne qualcuna, prima è necessario che tra noi poggini, con il supporto delle attività dell'amministrazione, si stabilisca la Poggio dei Pini desiderata, la strada che si vuole percorrere: vogliamo una Poggio dei Pini più pedonalizzata, attrattiva, e a contatto con la natura, in modo da essere liberi di farci una passeggiata senza utilizzare la macchina ed essere comunque al sicuro? O vo-gliamo una Poggio dei Pini si verde, pedonalizzata, ma anche con dei connotati tu-ristici che portino qualcosa di nuovo a casa? Per questo, quali aree è possibile poten-ziare rispetto a come Poggio è fatta per avviarla verso ciò che ci interessa? E ancora: quali pratiche è necessario innescare e gestire affinché, in caso, i nostri progetti fisici e architettonici riescano a sopravvivere, garantendo nel tempo, dei flussi contro l'ab-bandono? Tante domande, tanti sogni nel cassetto: utili, indispensabili, per dei passi sicuri in più.
Per concludere: l'organizzazione di pratiche sociali, anche nuove ed evolute, conduce a desiderare di più per la propria località, a volerle meglio, e volerla avviare verso processi di trasformazione fisica che rispecchino tali desideri, per far si proprio che essi possano materializzarsi sul territorio e rendere la nostra vita migliore.
Enrico Cesare Dazzi, Studente di Urbanistica, Pianificazione della Città, dell'Ambiente, del Territorio, e del Paesaggio.
Facoltà di Architettura di Alghero.
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