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domenica 6 marzo 2016

Intervista a Ettore Lai, fondatore di Poggio dei Pini

Cari lettori del blog, le discussioni sulle questioni contingenti dell’amministrazione poggina, e le frequenti polemiche tipiche della nostra Comunità (o forse di tutte le comunità?) ci fanno spesso dimenticare che c’è qualcosa di più importante e più profondo, che ci tiene insieme, storie e valori che ci uniscono (ben più di quanto ci dividano le diverse opinioni sulle aiuole, sulle tariffe idriche, sui lavori da fare etc.).
Poggio dei Pini, il suo territorio, la società cooperativa che tutti noi, in piccola o in grande parte, abbiamo contribuito a mettere su, con tutto il suo complesso di luoghi, infrastrutture, associazioni e servizi, pochi o molti che siano, più o meno efficienti, sono comunque il nostro patrimonio, che prescinde dall’amministratore di turno. Ieri c’erano Giovannino Calvisi o Giacomo Cocco, oggi ci sono Sandro Anedda, Federico Onnis Cugia e Giuseppe Monni, domani tanti altri, ciascuno coi suoi pregi e i suoi difetti, ciascuno col suo fardello di tentativi, errori e piccoli grandi risultati. Spesso abbiamo fatto l'errore di confondere la nostra storia con le simpatie o le antipatie personali, abbiamo fissato la nostra attenzione sui (fisiologici) errori di percorso senza guardare dall’alto la strada che abbiamo fatto e che faremo. Io per primo devo chiedere scusa per tanti giudizi ingrati espressi anni fa, quando non conoscevo cosa significasse mettere la faccia (e il fegato) in un’impresa così difficile (e bella) qual'è amministrare, per un certo periodo, la Cooperativa. Ecco perché mi auguro che questo 2016, Cinquantennale della Fondazione, ci faccia superare personalismi e faziosità. io e tanti altri ci stiamo provando: è dura, perchè anni di polemiche ci hanno intossicati tutti; ma penso ci riusciremo. Nei prossimi mesi cercheremo di moltiplicare le occasioni in cui mettere al centro tutto ciò che ci unisce, la storia della nostra Comunità, gli sforzi i sacrifici e gli entusiasmi di chi ha costruito Poggio dei Pini (spesso senza ricevere, da parte nostra, un adeguato riconoscimento).  
Segnalo quindi a tutti i Poggini, sul sito della Cooperativa, la prima di una lunga serie di interviste ai Padri di Poggio dei Pini (amministratori, parroci, dipendenti della Cooperativa) chiedendo anche a Giorgio. se ritiene, di pubblicarle, qui sul suo blog. Grazie
Giuseppe Elia Monni
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INTERVISTA A ETTORE LAI FONDATORE DI POGGIO DEI PINI

RACCOLTA NELLA SUA CASA A POGGIO DEI PINI IL 16 GIUGNO 2006



1 - Quale è stato il modello ispiratore di Poggio dei Pini?

Verso la metà degli anni Sessanta la vita in città cominciava a essere davvero impossibile. Sono gli anni delle grandi speculazioni immobiliari che portarono al famigerato “sacco” (tristemente noto alle cronache giudiziarie) di città come Napoli, Roma, Milano, Palermo. Tutte le più grandi città italiane, che avevano subito pesanti distruzioni a causa dell’ultima guerra, con il pretesto delle ricostruzioni presero improvvisamente dimensioni abnormi senza alcun controllo né criterio urbanistico. Tutto veniva cementificato, nessuno aveva più a disposizione un albero, un fazzoletto di verde. A soffrirne erano in particolare i bambini, costretti in casa dal pericolo del traffico e dalla mancanza di spazi comuni, ma si stava male un po’ tutti. Ecco perché alcuni architetti e urbanisti lungimiranti cominciarono a elaborare progetti per città satellite, attorno ai capoluoghi, da far sorgere su modelli già sperimentati con successo all’estero, in particolare l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Germania. Per Poggio dei Pini, in particolare, si tenne presente il progetto della città satellite di “Milano San Felice”, che sarebbe dovuta sorgere in una zona paludosa a dieci km. in linea d’aria dal Duomo di Milano.



2 - Perché un modello gestionale che per lungo tempo ha previsto la sopravvivenza dell’azienda agricola? Forse è stato tenuto presente Ebenezer Howard con la sua utopia della “Città giardino” che produce direttamente almeno una parte dei suoi stessi beni di consumo?



Onestamente di Ebenezer Howard nessuno di noi aveva mai sentito parlare. La “città giardino” con produzione propria di alcuni beni di consumo nacque quasi per necessità, perché l’azienda agricola acquistata per far sorgere Poggio disponeva di un personale fisso (una quindicina di persone) che non si poteva mettere sulla strada da un giorno all’altro. Inoltre la proprietà era vincolata ad accordi con vari enti agricoli, assunti dai precedenti proprietari, che era necessario onorare fino alle scadenze previste. Ad esempio, senza un’azienda agricola funzionante non avremmo avuto diritto a tenere i due laghetti artificiali, e altre cose di questo genere. Comunque l’azienda agricola, in genere, riusciva ad autosostentarsi senza andare in passivo.

3 - Come si è arrivati a localizzare la zona di Poggio?
Nel marzo 1966 con l’ing. Alberto Marracini, una volta concepita l’idea di realizzare un nuovo quartiere residenziale con le caratteristiche di Poggio dei Pini, cominciammo a girare i dintorni di Cagliari alla ricerca dell’area adatta. Da noi e altri furono visitate le campagne di Quartu Sant’Elena, Sinnai, Settimo San Pietro, Monastir, Assemini, Uta, ma alla fine l’unanimità dei consensi ricadde sull’azienda agricola Saggiante nei pressi di Capoterra, individuata da Elia Marracini, che conquistò tutti per il favorevole andamento del terreno e la presenza dei laghi e della pineta. Essa, inoltre, si trovava entro il raggio di 15 km. dal capoluogo e presentava i caratteri di salubrità, grande estensione e possibilità di agevole accorpamento di altri terreni richiesta dal progetto e dal numero di quanti lo avrebbero presumibilmente sottoscritto.

4 - Come avvenne l’acquisizione della tenuta Saggiante?
L’Azienda agricola di Donna Maria Saggiante, vedova Leone, si estendeva per ben 284 ettari. Alla morte della titolare la proprietà passò ai suoi tre figli uno dei quali domiciliato a Milano, un altro a Domodossola e un’altra a Cagliari. In pratica era quest’ultima, la signora Alessio, a gestire la proprietà come se fosse interamente sua. Le trattative d’acquisto, portate avanti con infinita pazienza da Giuseppe Lunetta e Giampiero Atzori, furono molto difficili e si protrassero per sei mesi. A un certo punto fu chiaro che l’erede cagliaritana tergiversava, con l’intento di mandare a
monte la trattativa e continuare a gestire per conto suo l’intera proprietà. Decidemmo quindi di scavalcarla e di trattare direttamente con gli altri due suoi fratelli domiciliati nel continente. Io e Giampiero Atzori prendemmo l’aereo e ci recammo a Domodossola, ottenendo dal proprietario ivi residente la promessa di vendita e un analogo impegno sulla parola per la sorella residente a Milano. La signora Alessio non reagì bene e chiese per sé il pagamento di un prezzo superiore di 1/3 a quello che sarebbe stato pagato ai fratelli. Con Alberto Marraccini dovetti quindi effettuare un nuovo viaggio a Milano, per convincere gli altri ad accettare questa clausola vessatoria. Ci riuscimmo con molta difficoltà e nel settembre 1966, finalmente, potemmo concludere l’accordo. L’accettazione del prezzo pattuito per la vendita era prevista per il 12 ottobre successivo, con pagamento in contanti.

5 - Come avvenne l’acquisizione della Società Santa Barbara?
Le trattative d’acquisto, fin dall’inizio, si rivolsero anche verso i 303 ettari della Spa Santa Barbara, il cui pacchetto azionario era detenuto da cittadini belgi, impegnati con speculazioni immobiliari in Sardegna. Trattandosi appunto di una società per azioni, fin da subito, con una sottoscrizione volontaria fra soci promotori in meno di un mese fu possibile raccogliere la somma di lire 14.500.000, da destinare al versamento che verosimilmente sarebbe stato richiesto per l’opzione d’acquisto. La prima risposta della società, a fine agosto 1966, fu però negativa: gli amministratori avevano capito, e ce lo dichiararono apertamente, che aspettando sarebbero riusciti a spuntare un prezzo più alto. Solo in seguito, nel 1968, quando la lottizzazione di Pauliara e Sa Birdiera era già cominciata e buona parte dei lotti era stata venduta, anche i Belgi si decisero a vendere. Allo scopo mi recai ad Anversa con Alfredo Sotgia e Gianni Mandas, e il 27 luglio 1968 potemmo concludere l’operazione. Inspiegabilmente furono accettati i prezzi già da noi proposti due anni prima. O meglio, la spiegazione c’è. Una volta nata Poggio dei Pini, i terreni della Santa Barbara difficilmente sarebbero potuti rimanere agricoli. Urbanizzare una simile zona collinare, però, sarebbe costato moltissimo, cosa che per imprenditori privati avrebbe richiesto investimenti troppo a lungo termine e quindi poco remunerativi. Diverso, invece, il discorso per una Cooperativa senza fini di lucro, come la Poggio dei Pini, che accollandosi un simile onere avrebbe semplicemente conseguito i propri scopi societari. La vendita avvenne tramite uno strumento legale interessante, allora sperimentato in Italia per la prima volta: la “fusione per incorporazione” di una società azionaria con una cooperativa. In questo senso Poggio dei Pini ha fatto un po’ anche la storia del movimento cooperativistico italiano, e il merito va interamente riconosciuto a quell’autentico mago della legislazione tributaria che è stato Alfredo Sotgia, allora vicepresidente della Società Poggio dei Pini. Per l’azienda Saggiante furono pagati circa 200 milioni di lire (oggi circa 4 milioni di euro, n.d.r.), e altrettanto per la Società Santa Barbara.

6 - Come avvenne l’acquisizione della Spiaggia?
Per puro caso. Nel 1968 in un’asta giudiziaria furono offerti sei ettari di terreno sul mare, al 14° Km della SS195 e quindi proprio di fronte a Poggio dei Pini, con 800 metri lineari di spiaggia. Per l’acquisto, costato 14 milioni di lire, venne sollecitato il contributo volontario dei soci, che risposero in 208 su 259. Si voleva dotare il nuovo centro residenziale di tutti i comforts moderni, e quindi anche dello stabilimento balneare privato. L’ing. Giampaolo Cilloccu realizzò il progetto di massima delle relative attrezzature, ma poi non se ne fece più niente. Un po’ perché si era sparsa la voce che la zona fosse ancora disseminata delle mine sparse durante l’ultima guerra, ma soprattutto perché la Società in quel momento era indebitata fino al collo a causa degli acquisti fondiari effettuati e degli oneri di urbanizzazione. Dal 1970 poi, con la crisi economica che attanagliò l’Italia, le cose andarono di male in peggio ed ogni spesa non indispensabile venne evitata.

7 - È possibile risalire al momento in cui nacque la prima idea di Poggio dei Pini?
Credo che tutto si debba a mia moglie, Teresa Mungianu. Amava il verde, avrebbe desiderato un bel giardino, ma vivevamo in un appartamento in pieno centro a Cagliari. Avevamo dei bambini piccoli
sacrificati dalla ristrettezza degli spazi a disposizione dei loro giochi, per cui cominciammo a pensare a una villetta circondata dal verde. Nel dicembre del 1965, durante il cenone natalizio con tutto il parentado, accennai a questa nostra intenzione con mio cognato, l’ing. Alberto Marracini, che subito se ne dimostrò entusiasta. L’esigenza della villetta nei dintorni di Cagliari era anche sua, di altri parenti e di altri nostri amici, per cui si cominciò a pensare alla possibilità di mettere in piedi una cooperativa edilizia fra noi, per realizzare i progetti comuni con la massima economicità (eravamo molto giovani e i soldi erano pochi). Con il semplice passaparola nella cerchia più ristretta di parenti e amici ricevemmo in breve tempo così tante adesioni di massima che di lì a pochi mesi, come già ho detto, ci mettemmo alla ricerca del terreno adatto.

8 - Come e quando fu costituita la Società “Poggio dei Pini”?
Una volta localizzata a Capoterra l’area lottizzabile e ottenuta l’adesione non impegnativa di 264 persone, le più motivate tra queste, circa una quarantina, cominciarono ad incontrarsi settimanalmente nel salone dell’Hotel Excelsior a Cagliari, messo a disposizione dal proprietario Giorgio Mundula, mio amico personale fin dall’infanzia. Le riunioni cominciavano dopo cena e si protraevano in genere fino alle due del mattino. Furono costituiti vari comitati o gruppi di lavoro, ciascuno con un compito preciso. Quello per l’elaborazione statuto; quello per l’esame dei problemi tecnici; quello per l’espropriazione dei terreni, qualora fosse stata necessaria (eravamo pronti anche a questo!); quello esecutivo, per i problemi organizzativi e le trattative di acquisto. Quando queste ultime, finalmente, si concretizzarono nella promessa di vendita dell’Azienda Saggiante, si passò quindi a costituire la Società con personalità giuridica che avrebbe potuto procedere all’acquisto diretto. A tale scopo, con altra sottoscrizione volontaria fra 19 membri del Comitato promotore, che si autotassarono ciascuno per lire 10.000, furono raccolte lire 190.000 con cui coprire le prime spese amministrative necessarie alla costituzione della Società. Così il 27 luglio 1966, nei locali dell’Hotel Excelsior di Cagliari, davanti al notaio Giovanni Fadda i quaranta membri del Comitato promotore siglarono la costituzione della Società cooperativa a r.l. con proprio statuto. Fu eletto il primo Consiglio di Amministrazione, di cui fui nominato presidente, vice presidente Alfredo Sotgia, ecc.

9 - Con quali parole si potrebbe delineare il clima di ottimismo degli anni Sessanta?
La domanda presuppone un sottinteso gentilmente inespresso: come è da matti usare un cannone per uccidere una mosca, così sembra da matti fondare un nuovo quartiere, anzi, noi dicevamo addirittura una nuova città, per poter avere la casa con giardino… Questo è senz’altro vero, ma è altrettanto vero che la generazione dei trentenni, negli anni Sessanta, si trovava a vivere una congiuntura straordinariamente favorevole. Tutti volevamo recuperare ciò che la guerra ci aveva tolto, da ragazzi, ed eravamo mossi da un grande ottimismo e da grandi ideali di cambiamento dell’intera società, sorretti naturalmente da una buona situazione economica generale. Tutti avevamo un lavoro, l’economia nazionale prosperava in pieno boom, ci sentivamo capaci di grandi, anzi grandissime imprese. I giovani, negli anni Sessanta, sentivano davvero di poter stringere il mondo nelle loro mani. Era solo un’illusione, purtroppo, eppure questa illusione ci ha spinti a tentare quello che, osservato con spirito razionale, sarebbe sembrato semplicemente pazzesco: creare una città modello, immersa nel verde e governata dall’armonia dei suoi abitanti, amici veri gli uni degli altri, partendo praticamente da zero, senza mezzi, e soprattutto senza fini di lucro, in un contesto generale in cui “edificazione” faceva invariabilmente rima con “speculazione”.

10 - Quali veicoli pubblicitari furono prescelti per divulgare l’iniziativa?
Io stilai uno “Schema di adesione al CRC” (Centro Residenziale Cooperativo: era questo il primo nome della futura Poggio dei Pini), che venne ciclostilato in tre pagine e diffuso con molta cautela solo tra persone fidate, a partire dal 1 maggio 1966, così da non far salire il prezzo dei terreni.
All’inizio raccogliere adesioni fu un lavoro piuttosto difficile e complesso perché l’idea essendo nuova, occorreva sondare, illustrare, discutere, far prospettare i vantaggi, convincere, superare
difficoltà e riserve. Nei primi tempi era praticamente impossibile raccogliere più di un’adesione al giorno, e vi erano giorni in cui non si riusciva neppure a concretare una sola adesione. Occorreva in parole povere “perdere”, dedicare una serata o poco meno, per ottenere un’adesione non impegnativa in nessun senso. Si giunse così verso la metà del giugno 1966: era stato raggiunto il numero di circa 50 aderenti. Da allora raccogliere adesioni non rappresentò più una preoccupazione. Si giunse rapidamente ad esaurire gli stampati e a chiudere almeno provvisoriamente la raccolta delle adesioni al numero di 264 persone. Una volta acquistati i terreni e cominciati i lavori di urbanizzazione, per favorire la conoscenza tra soci e cementare lo spirito di corpo fra Poggini vennero promosse iniziative come il ballo annuale. Il primo si tenne per l’Epifania del 1968 presso il Jolly Hotel e fu un grande successo mondano. Altri vennero in seguito, presso l’Hotel Mediterraneo, come anche analoghe iniziative quali la Festa della Primavera, un banchetto all’aperto che si teneva presso il laghetto piccolo quando a Poggio ancora non esisteva proprio niente, se non i cantieri che aprivano le strade e davano forma alla lottizzazione. In definitiva, il mezzo pubblicitario che ha consentito il nascere di Poggio dei Pini è stato il semplice passaparola, il contatto umano diretto.
11 - Ricordi personali legati alla fase pionieristica.
Ricordo in particolare l’attività febbrile, il superlavoro dei primi anni quando si dovette fare tutto molto rapidamente, correndo contro il tempo. Ma eravamo come drogati dall’entusiasmo e niente ci poteva fermare. L’energia del Comitato promotore avrebbe potuto travolgere qualsiasi ostacolo.

12 - Come si presentava la zona prima dell’urbanizzazione?
Come un’azienda agricola da tempo in abbandono. Al nostro arrivo trovammo quaranta capi vaccini praticamente prossimi alla morte per inedia, senza più scorte di fieno, con la casa padronale e i magazzini ormai fatiscenti. Qua e là polle d’acqua da prosciugare, infatti una delle prime battaglie combattuta a Poggio fu quella contro le zanzare. Però la zona era bellissima. In particolare ci entusiasmavano i laghetti che, nella loro cornice verde data dalle pinete, quasi ricordavano dei paesaggi alpini.

13 - Principali fasi dell’urbanizzazione.
Una volta acquisita la tenuta Saggiante, che comprendeva le sole zone di Pauliara e Sa Birdiera, fu affidata all’ing. Pierluigi Monni la realizzazione dei rilievi plano-altimetrici preliminari all’elaborazione del piano urbanistico generale. Monni, in quel periodo, univa le sue grandi capacità tecniche alla collaborazione di un architetto vientnamita, tale Hung, che credo sia stato uno dei primissimi architetti del paesaggio ad aver operato in Italia. Si deve a questa persona il fatto che le strade di Poggio siano state tracciate senza stravolgere il paesaggio, seguendo “artisticamente” le curve di livello. La fase progettuale fu rapidissima, nel luglio 1967 le ruspe erano già impegnate nell’apertura delle strade, che fu eseguita in convenzione con l’ETFAS. Poi furono tracciati i lotti e furono realizzate la rete idrica e quella elettrica. A fianco di Monni, nell’elaborazione del piano urbanistico, ci fu sempre anche Silvio Alvito, membro del nostro Comitato tecnico. Alvito era sempre informatissimo di tutte le novità nel campo dell’urbanistica, per cui Poggio dei Pini fu progettato con criteri davvero avveniristici. Ricordo, in uno dei primi numeri del giornalino, un articolo di Silvio Alvito (novembre 1967, n.d.r.) in cui si prospettava la possibilità di dotare le case di Poggio di un impianto termosolare per la produzione dell’acqua calda, cosa che allora rasentava quasi la fantascienza.

14 - Personaggi da ricordare.
Sono tantissimi, e se Poggio dei Pini avesse le strade distinte per nome, e non per numero, ognuno ne meriterebbe l’intitolazione, anche perché molti di loro, purtroppo, ormai non sono più tra noi. Del ruolo importantissimo svolto fin dall’inizio da Giampiero Atzori ho già detto. Fra gli altri ricordo anzitutto Silvio Alvito, sempre attivissimo e primo collaboratore dell’ing. Pierluigi Monni
nella stesura del piano urbanistico generale; l’avv. Giovanni Manca e Giovanni Battiloro che hanno in tutti i modi operato per la Società, districando le complicatissime questioni annesse alla stesura dell’atto di vendita della tenuta Saggiante; l’ing. Giampaolo Cilloccu che ha coordinato tutta una serie di studi programmatici e attività nel settore tecnico; l’ing. Athos Pasino che ha studiato il piano di illuminazione, energia e telefoni; l’ing. Antonello Agnesa e il geom. Nino Congiu che hanno curato il settore delle strade; l’ing. Eugenio Lazzari che ha preparato il progetto dell’acquedotto e dell’impianto di potabilizzazione; l’ing. Alberto Marracini che ha studiato e progettato il sistema fognario, il dott. Antonio De Candia che ha preparato un completo piano per la sistemazione del verde pubblico; Marcello Anedda che ha impostato e curato nei suoi difficili inizi la contabilità della Cooperativa, insieme ad Alfredo Sotgia; il dott. Salvatore Pala, che ha curato il problema delle acque in concessione permettendo a Poggio di rimanere padrona dei suoi laghetti; il col. Salvatore D’Errico, che ha seguito le pratiche aerofotografiche, il magg.re Salvatore Paracchini che ha eseguito gli studi in campo meteorologico, piogge, venti ed esposizione. Il dott. Amedeo Varrucciu, esperto nel campo dei contributi, gli ing. Bruno Carletti, Piero Cossu, Franco Cerchi, il geom. Cesare Marini, il dott. Cabriolu, il rag. Gesualdo Costa; l’avv. Salvatore Congia e Gianni Ferrara, del primo Collegio Sindacale, ed altri che posso aver dimenticato. Elia Marracini che ha inventato il nome “Poggio dei Pini”, l’ing. Renato Medda e l’ing. Paolo Pintor, che hanno progettato la palestra e la club house. Tutte queste persone, ricordiamolo, hanno operato per la Società a titolo totalmente gratuito.

15 - Motivi di soddisfazione.
Abbiamo compiuto tanti miracoli, ma il più incredibile è probabilmente il primo, legato al reperimento delle risorse finanziarie per l’acquisto della prima nostra proprietà, la tenuta Saggiante. Una volta ottenuta la promessa di vendita ancora non avevamo un soldo e dovevamo raccogliere ben 200 milioni di lire in meno di un mese. Con una serie di riunioni presso i locali della Fiera campionaria, che grazie al sostegno di un delegato della Camera di Commercio, tale Fadda, furono messi gratuitamente a disposizione della nostra Società, la somma fu raggiunta con l’acquisto da parte dei soci di lotti “virtuali” (quindi, fondati sulla nostra parola!) da 2000, 1600 o 1200 mq al prezzo di appena 500 lire il mq. All’epoca un mq. di terreno edificabile costava circa 3000 lire, per cui l’offerta fu limitata ai soli primi 400.000 mq. Ciascun socio poteva impegnare fino a 4000 mq., pari a due lotti a testa. Il 4 ottobre 1966 si arrivò quindi alla prima riunione generale di tutti gli aderenti all’iniziativa e si sperimentò la “corsa al mq.”, in termini strettissimi di tempo: già dal secondo giorno su sei disponibili avevamo raggiunto impegni firmati per svariati milioni per la quasi totalità del previsto. Altra cosa di cui essere molto orgogliosi, credo, fu quella avvenuta subito dopo l’acquisto. Un grosso gruppo finanziario, fiutato l’affare, si offrì di acquistare la società, ottenendo però da parte nostra un pronto rifiuto: avevamo voluto fondare una cooperativa senza fini di lucro e tale Poggio dei Pini doveva rimanere. Abbiamo fatto sicuramente bene. Certo, ora siamo molto meno ricchi di quanto magari avremmo potuto essere ma è anche vero che Poggio dei Pini ha finito per rappresentare un’esperienza unica in Italia e forse nella stessa Europa: infatti non mi risulta che da nessuna altra parte esista una cooperativa edilizia delle dimensioni e degli standard urbanistici neppure lontanamente raffrontabili a quelli di Poggio.
Da tifoso, poi, voglio anche ricordare con grande soddisfazione che il Comitato femminile della neonata Poggio dei Pini, nel 1970, organizzò con innegabile successo i festeggiamenti ufficiali per lo scudetto del Cagliari Calcio…
Scherzi a parte, però, il mio maggior motivo di soddisfazione è rappresentato dalle 800 famiglie e dalle circa 2000 persone che oggi abitano a Poggio, e che hanno trasformato un antico sogno che per primo è stato di mia moglie e mio in una splendida e palpitante realtà piena di vita e di prospettive future.

16 - Motivi di rimpianto.
Penso di non aver niente di cui essere insoddisfatto. Forse Poggio dei Pini non è proprio quella città ideale che io e gli altri padri della Società avevamo vagheggiato, ma le nostre erano pure utopie, mentre la vita insegna che l’uomo deve essere accettato (e possibilmente amato) per quello che è, con i pregi e con i difetti che tutti in varia misura abbiamo.

17 - Dalla documentazione disponibile si capisce che, sin dal primo momento, i soci promotori sono stati coscienti della grande impresa che andavano a compiere.
Altrochè, ed è stata proprio l’aspirazione a fare qualcosa di diverso, di durevole, di utile a sorreggerci nella grande fatica e nelle grandi difficoltà iniziali, che altrimenti ci avrebbero schiacciato. Volevamo che il tempo non continuasse a passare senza significato. Nessuno di noi, a un certo punto, voleva trovarsi a non avere proprio nulla da ricordare, della sua vita, di diverso dalla moltitudine informe delle carte, delle cause, dei progetti, delle pratiche, delle lezioni, dei compiti, degli affari trattati. Ognuno di noi, a quei tempi, godeva nel compiacersi di aver fatto qualcosa di interamente suo e di nuovo, che nessuno ci aveva costretto a fare ma che avevamo fatto solo perché lo volevamo noi, apportando in questo modo il nostro contributo alla crescita e al miglioramento dell’intera società.

18 - Si è mai pensato seriamente a una secessione amministrativa da Capoterra?
Altra domanda un po’ maligna, dopo questa mia solenne enunciazione di principio… Diciamo che in generale Capoterra non ci ha mai né aiutati né ostacolati, e veramente abbiamo fatto tutto da soli. Solo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, quando a Capoterra si veniva discutendo il nuovo Piano regolatore, Poggio dei Pini venne sottoposta a una serie di effettive vessazioni, con tentativi di ridimensionare le cubature già stabilite e concesse, pregiudizievoli agli accordi precedentemente sottoscritti. Per questo e altri motivi venne fondato un comitato per l’autonomia amministrativa, che tuttavia ebbe vita breve: una nuova legge dello Stato, infatti, mutò i parametri richiesti da una comunità per erigersi a Comune autonomo, e Poggio dovette accantonare i suoi progetti “secessionisti”. Si ripiegò allora su un impegno unitario dei Poggini alle elezioni amministrative del 1982, che sarebbe dovuto convergere su una nostra lista civica; anche in questo caso, però, i risultati furono scarsi perché nessuno voleva la politicizzazione della Cooperativa, peraltro espressamente vietata dallo Statuto.

19 - Perché si è accettata una convenzione con il Comune di Capoterra tanto onerosa per la Cooperativa?
Nel 1966 Capoterra ancora viveva una situazione socio-economica di grande arretratezza, e il Comune non avrebbe mai potuto sostenere (né avrebbe accettato) gli oneri di urbanizzazione e gestione relativi a una realtà complessa come quella che si andava progettando per Poggio dei Pini. Se volevamo fare potevamo contare solo su noi stessi. Non c’erano alternative. E il Comune, per converso, ha accettato che trasformassimo un’azienda agricola in area edificabile senza chiederci nulla in cambio. La trasformazione delle leggi urbanistiche a livello nazionale, in seguito, ci ha imposto di cedere al Comune vaste aree da destinare a servizi, è venuta l’ICI, per cui noi paghiamo al Comune un pesante balzello connesso alla proprietà della nostra abitazione senza ottenere in cambio alcun servizio, ma nonostante questo forse siamo ancora noi ad essere in vantaggio. Certo, qualcosa andrà sicuramente fatto, perché i Poggini, in questo momento, sono sottoposti dal Comune a un’evidente ingiustizia e disparità di trattamento, la cui eliminazione dovrebbe rappresentare uno dei primi pensieri del nostro Consiglio di Amministrazione.

20 - Origini della parrocchia: chi ne ha avvertito la necessità, chi ha dato l’idea, chi ha preso contatti con l’autorità ecclesiastica e con quali modalità.
Una delle prime esigenze manifestate dai Poggini, man mano che a partire dal 1973 si trasferivano a vivere nel centro residenziale, fu quella di avere una cappella dove poter partecipare alla Santa Messa almeno la domenica. Però all’inizio eravamo davvero pochi e la cosa non era facile da
ottenere. Tutto cambiò verso la metà degli anni Settanta, quando fu nominato vescovo ausiliare di Cagliari Pier Giuliano Tiddia con il quale, da ragazzo, io frequentavo il Circolo Cattolico della Marina. Mi trovai così nella condizione migliore per sollecitare dalla Curia l’istituzione della parrocchia a Poggio dei Pini. La dedica della nostra parrocchia alla Madonna di Lourdes fu scelta proprio da mons. Tiddia, nonostante ne avessero fatto richiesta anche altre parrocchie. Una volta ottenuto il via libera, per raccogliere i fondi necessari venne fondato il “Comitato Erigendae Ecclesiae”, composto specialmente da Signore, e pian piano anche quest’altro sogno è diventato realtà.

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