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venerdì 9 gennaio 2009

Germogli di speranza

Quasi ogni anno, nei pressi di Poggio dei Pini, scoppia almeno un incendio di notevoli proporzioni. La gente si è abituata a ricordare, come in un calendario perpetuo, quale è la zona che viene colpita ogni anno. Nella hit parade delle preferenze degli incendiari il "triangolo maledetto", compreso tra M. Arrubiu (il monte che si trova sopra l'Hydrocontol), la collina di Su Sinzuru (quella delle antenne) e le piscine di Poggio, o meglio i ruderi delle stesse dato che quest'anno non sono state aperte.
Nel 2008 il fuoco ha colpito principalmente la zona denominata "Su Culliresu", tra M. Arrubiu e l'Hydrocontrol.
Alcune settimane fa sono andato ad osservare da vicino il territorio per verificare come la natura avesse reagito alla doppia batosta: il fuoco in agosto e il più tremendo nubifragio degli ultimi 400 anni alla fine ottobre. Vi porto con me in questa passeggiata a pochi passi dalle nostre case. Non sono in grado di fornirvi le informazioni precise di un botanico o di un geologo (che sono invitati a intervenire), ma le impressioni di un semplice amante della natura.


Panoramica della collina di Su Culliresu

I terreni percorsi dal fuoco non appartengono alla Cooperativa Poggio dei Pini, ma si trovano appena al di fuori dei suoi limiti settentrionali. E' chiaro che per chi ama e rispetta la natura questo dettaglio ha ben poca importanza, perchè un bosco ha il medesimo valore naturalistico, la stessa bellezza e merita il medesimo rispetto ovunque si trovi. Purtroppo non è così per le mani disgraziate che ogni anni si armano di micce incendiarie con l'innegabile obiettivo di distruggere il patrimonio vegetazionale di questo preciso angolo del comune di Capoterra. La mia è anche una segnalazione affinchè l'amministrazione comunale sia maggiormente presente in quest'area, soprattutto per quanto riguarda il problema delle discariche abusive, cui accennerò in seguito.

Esercito di spettri

Sulla collina, dal dolce pendio, si trova un boschetto di querce da sughero che, come si può notare dalle foto precedenti, appare in lontananza come un piccolo esercito di spettri.
Fortunatamente, un esame ravvicinato ci mostra che molte (sigh pensavo tutte) querce hanno germogliato e si avvicinano al periodo della ripresa vegetativa con le carte in regola per sopravvivere. E' un'ottima notizia. Le querce da sughero sono, infatti, piante pirofite passive, protette dalla spessa corteccia che ricopre il loro tronco. Ecco una delle sughere ripresa da vicino.

Le sughere riprendono a vivere

Oltre alle sughere la collina era coperta da una macchia di cespugli che, a causa dei frequenti incendi e della presenza di attività umane nelle vicinanze, era abbastaza rada. Oltre agli onnipresenti cisti, che il fuoco ha trasformato rapidamente in cenere, vi erano anche alcune ceppaie di corbezzolo. Fortunatamente, come mostra la foto seguente, anch'esse sono piante pirofite (ma in questo caso passive). Se il loro fusto viene infatti irrimediabilmente danneggiato dall'incendio, l'apparato radicale è in grado di ricacciare polloni che si trasformeranno in una nuova pianta.

Il corbezzolo ricaccia i polloni dalle radici.

Non bisogna illudersi però dell'immortalità di queste piante. Le difese naturali cui ho accennato sono in grado di proteggere dal fuoco, ma non garantiscono la sopravvivenza in quasiasi condizione. Gli incendi particolarmente intensi sono in grado di sviluppare temperature così elevate da superare qualsiasi difesa naturale.
Il già citato cisto è scomparso, ma anche questa pianta, così diffusa nella nostra macchia mediterranea, ha in serbo una sorpresa che gli permetterà di rigenerarsi. Userà tra pochi mesi uno stratagemma ancora differente rispetto a quello utilizzato delle altre specie citate, a testimonianza della incredibile varietà della natura. Alla prossima ripresa vegetativa primaverile si assisterà infatti a una incredibile germinazione dei semi di queste piante che saranno pertanto le prime a ricorpire il suolo degradato dopo un incendio. Eh si, il suolo è l'elemento che sarà comunque e sempre danneggiato da un incendio. Privato della copertura vegetale, sarà esposto al dilavamento delle pioggie e al formidabile calore del sole estivo, impoverendosi. Il substrato vegetale ricco di sostanze organiche sarà trascinato via dalle precipitazioni e il suolo offrirà quindi meno nutrimento ai suoi futuri ospiti. Quanta fatica e quanti anni ci vorranno per riformare il bosco partendo da zero!

Se poi il terreno presenta forti pendenze, aspettiamoci la formazione di fenditure, voragini e attività franose. Nella foto seguente vi mostro uno dei tanti "rivoli" che all'alba del 22 ottobre si sono trasformati in torrenti impetuosi. L'abbiamo battezzato Riu Arrubiu.

Riu Arrubiu


E gli uomini, come preservano questo fazzoletto di terra che si trova all'imboccatura dell'alta valle dei Rio S. Girolamo? Abbiamo detto che lo incendiano quasi ogni anno. Ma non basta. L'Hydrocontrol è un "centro di ricerca per il controllo dei sistemi idrici" ed è stato edificato proprio sull'alveo del fiume. Sembra una barzelletta ma non lo è.

Osservate poi, proprio di fronte al centro di ricerca, quel che resta di un ponte della vecchia linea ferroviaria mineraria. Noterete che quel ponte si trova a una quota più alta rispetto alla strada attuale. Significa che i costruttori di allora aveva considerato una portata del fiume maggiore rispetto a quanto fatto dai nostri geniali progettisti del 21esimo secolo. Guardacaso il ponte moderno è stato distrutto sia nel 1999 che nel 2008 e la strada con la sua massicciata, funge pericolosamente da diga. Bel lavoro davvero.

Vi mostro poi il senso civico e il rispetto per la natura dei MAIALI che hanno trasformato un viottolo (nei pressi dell'Hydrocontrol) in una discarica a cielo aperto. Tra i materiali accatastati in più punti vi sono anche batterie di automobile e sacchi contenenti sostanze biancastre di probabile origine chimica (forse vernici). Questi materiali si trovano qui da alcuni anni e non sono mai stati rimossi, anzi aumentano. In seguito all'incendio e alla sparizione delle "frasche" fanno ancora più "bella mostra" di . Cosa aspetta il comune di Capoterra ad asportare questo materiale, bisogna fare una petizione per ogni cosa?

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Bell'articolo, complimenti Caro Giorgio. Tutti noi di Poggio abbiamo veramente bisogno di speranza! Ti segnalo però che la località riportata erroneamente sulle carte con il nome di Cullires in realtà si chiama Su Cullirèsu, e che anche quell'altra, segnata sulle carte storpiate dai soliti continentali come Su Sinzurru, in realtà si chiama Su Sìnzuru, cioè "La Zanzara". E per chi ha vissuto qui fin dall'inizio, partecipando alla fase pionieristica della nostra Comunità, non c'è davvero bisogno di spiegarne il motivo!...

Giorgio Plazzotta ha detto...

Grazie Mauro.
A volte sono tentato di proporre un movimento che ripristini i nomi originali dei toponimi.
Ivi compresa la famosa Isola del Mal di Ventre che grida vendetta.
Sto inoltre preparando una mappa Google del nostro territorio con i sentieri e i toponimi, chiederò la tua consulenza per correggere eventuali altre distorsioni.

giacomo ha detto...

Ciao, si è giusto dare i nomi originali, e Mauro è sicuramente un esperto in materia, c'è da dire che nel tempo è successo mi sembra anche viceversa, e poi chiedevo anche una cosa, bisgona vedere anche quali origini, perchè molti hanno anche origini spagnoleggianti, ma anche gli spagnoli erano continentali, insomma c'è da divertirsi molto, io esempio ho sempre avuto un grande dubbio sui monti sette fratelli , penso che il nome nasca in italiano in quanto che sono sette si vede solo da Cagliari, però posso anche sbagliarmi, esempio anche Sa birdiera, che sarebbe la vetriera o qualcosa di simile e forse nasce dai romani, insomma penso che ci siano anche dei piacevoli minestroni, è giusto dire anche che molti nomi sono stati sardizzati.

Io penso che comunque si debbano sempre rispettare le tradizioni e l'origine dei nomi anche se essi sono cambiati nell'arco della storia, quindi c'è da fare ricerche a proposito, però non mi piace il voler fondamentalizzare queste cose perchè poi c'è il rischio che si perdano gusto e fascino.

Colgo l'occasione, si voleva fare anche una gita lungo il rio masoni ollastu, fino alla sorgente diciamo, e siccome anche li ci sono dei ruderi antichi, chiedevo a Mauro che conosce bene la storia di questi insediamenti se potevi venire anche tu, magari verso i primi di febbraio, avvertirei anche il pastore ( capraro ) che ha dell'ottimo formaggio e dell'ottima ricotta, il posto merita molto.

Comunque la Parola all'esperto.


Ciao Giacomo

giacomo ha detto...

Ciao, guardate questo link, è allo stato attuale, quindi cambia col tempo.

http://www.meteoam.it/viewImagesMeteoSat.php?fileName=satelliti/nefo/sfuk.gif

Scusa Giorgio, il tuo articolo è molto interessante.

ciao Giacomo

max steri ha detto...

Ciao Giorgio, complimenti per l'articolo e per la descrizione in cui versa questo angolo di territorio che a tutti noi appartiene... è un'emozione rivedere dei germogli sulle piante bruciate per mano dei soliti VANDALI... e altrettanto VANDALI E DEFICIENTI reputo quelli che depositano ogni tipo di rifiuto in questi siti delicatissimi per la natura... bisognerebbe spiegarli che noi tutti paghiamo una tassa (la T.A.R.S.U.) e che probabilmente la pagano anche loro, tra l'altro anche molto salata, e che è sufficiente avvisare la società addetta al ritiro dei rifiuti (coop S. Germano), e si occuperanno loro dello smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuto... è ora che aggiungiamo al calderone delle proteste, anche quella verso il comune di Capoterra affinchè scoraggi con multe salatissime e denunce, ogni tentativo atto a deturpare l'ambiente... riguardo al ponte minerario edificato in quota più alta sono convinto sempre di più che negli anni, l'intelligenza di chi deve progettare determinate opere vada in decremento...
P.S. E' in atto una pioggia persistente... mi verrebbe un'esclamazione anatomo-cagliaritana, ma vi risparmio... immaginete voi...

Rita ha detto...

L'articolo di Giorgio è molto bello. Vorrei aggiungere soltanto che durante la passeggiata fatta insieme a lui nell'area bruciata dal fuoco e nell'altra area sotto la strada 58, ho potuto constatare che alcune querce sono del tutto bruciate e non danno alcun segno di ripresa vegetativa, forse perchè l'incendio ripetuto più volte negli anni ha irrimediabilmente compromesso la loro sopravvivenza.
Su questo argomento mi ripropongo di inviargli delle mappe che illustrano la situazione degli incendi verificatisi nella zona tra il 2001 e il 2008.

A proposito del suolo e degli effetti degli incendi vorrei aggiungere che in quelle aree il suolo vegetale, come viene inteso dagli studiosi della materia (geopedologi), praticamente non c'è più, è stato TOTALMENTE EROSO dalle piogge autunnali. Attualmente, infatti, si può osservare solo una coltre di granito arenizzato e pietre che ricoprono le colline, che però non sono più considerabili "suolo" ma "roccia madre", cioè il substrato che dà origine al suolo. Questo si forma, infatti, attraverso lunghi processi di pedogenesi, che passano attraverso l'alterazione della roccia e la sua disgregazione chimico-fisica, l'alterazione dei componenti principali fino a formare degli orizzonti differenziati che consentono la vita delle piante, gli orizzonti sono normalmente indicati con le lettere A-B-C. Questi processi sono molto lunghi e complessi e sono influenzati da vari fattori, tra i quali: il substrato geologico ossia la roccia madre; la morfologia cioè la forma dei rilievi e la loro pendenza; il clima inteso sia come temperature che piovosità; gli organismi animali, i batteri ed i funghi che vi si instaurano; l'azione dell'uomo con le attività agricole (arature, concimazioni) e pastorali, e ovviamente anche con la pratica degli incendi.

Normalmente i suoli che si sviluppano sui substrati granitici caratterizzati da morfologie aspre e dall'erosione molto marcata, sono soggetti ad un continuo ringiovanimento del loro "profilo" cioè degli orizzonti che li compongono. Sono cioè dei suoli a profilo A-C, con A orizzonte superficiale e C orizonte più profondo di transizione alla roccia sottostante, con scarsa capacità di ritenuta d'acqua e la tendenda a raggiungere rapidamente la saturazione idrica. Queste caratteristiche facilitano l'asportazione delle particelle più fini e quindi la loro erosione in occasione di precipitazione un po' elelvate. Quando poi si verificano condizioni come quelle del 22 ottobre praticamente il suolo si satura immediatamente e l'azione combinata della pioggia e della gravità causa l'erosione totale degli orizzonti attraverso l'erosione areale diffusa su tutto il versante, portando alla riesumazione della roccia sottostante ed alla formazione di profondi solchi (gully) nelle zone di maggior pendenza, fino a veri e propri canali di erosione come quelli fotografati da Giorgio.

Le aree occupate da questi suoli vengono considerate dai geopedologi come delle aree con FORTI LIMITAZIONI D'USO e l'unica destinazione possibile per la loro preservazione è la conservazione ed il ripristino della vegetazione naturale; sopratutto nelle aree percorse dagli incendi sarebbe indispensabile procedere alla sistemazione con opere lungo il versante di regimazione dei deflussi (muretti, fascinate, viminate, interruzioni di pendenza)e lungo gli impluvi (piccole briglie e sistemazioni con massi e legname per ridurre e rallentare la velocità di scorrimento dell'acqua), associate ad interventi di rimboschimento con essenze autoctone (Cfr. "Nota illustrativa alla Carta dei Suoli della Sardegna", RAS-Univesrità degli Studi di Cagliari, 1991, pag. 40.). Se si lascia fare solo alla natura la vegetazione di riprenderà molto più lentamente, attraverso la ricrescita della vegretazione colonizzatrice naturale (cisto, euforbia, asfodelo) a cui seguirà negli anni la vegetazione più evoluta (lentisco, corbezzolo, fillirea, leccio, sughera, ginepri), ma anche i processi di formazione del suolo e della sua fertilità saranno molto più lenti e sicuramente meno efficaci di un'azione mirata al ripristino delle condizioni originarie dell'ambiente naturale.

E' risaputo che un bosco fitto e con vegetazione molto varia ha un'azione fondamentale di rallentamento del deflusso idrico verso valle, pertanto è fondamentale che questi processi di ricostituzione boschiva vengano attuati al più presto nelle colline sovrastanti la nostra lottizzazione, ed in tutto il bacino montano dei corsi d'acqua, perchè hanno un ruolo fondamentale anche nel rallentare il trasporto solido (sabbia, ciottoli, massi) verso valle. Tutta la sabbia che è arrivata dentro il lago di Poggio infatti proviene proprio dalle aree incendiate immediatamente a monte.
E' anche ovvio che questi interventi non potranno essere attuati dalla Cooperativa (anche perchè molte aree non sono di nostra proprietà), ma necessitano di un intervento organico da parte di un ente pubblico con le competenze specifiche in questo campo (Ente Foreste ad esempio), anche perchè, come è ovvio intuire, necessitano di ingenti somme di danaro.
Rita Lai

L'uomo ragno ha detto...

Complimenti per il tuo articolo Giorgio,mi fa piacere sapere che ci sono persone così sensibili e rispettose del territorio.Poggio dei pini è(era)un posto meraviglioso che purtroppo dopo gli ultimi recenti fatti che tutti conosciamo (ma non è solo colpa degli eventi atomosferici)
sarà difficile che ritorni come prima.
Vorrei aggiungere alcune considerazioni a ciò che hai scritto.
Dovrei dire che odio,ma non sono capace,ma mi fanno "incazzare come un picchio" le persone che abbandonano i rifiuti dietro i cespugli delle nostre strade,le persone che lanciano le bottiglie vuote dalla macchina,le persone che abbandonano i cani nel nostro territorio,le persone che sparano vicino alle nostre case non avendone necessità,le persone che,non rispettando neanche se stesse,bruciano il territorio,il puzzo delle fogne che sono ancora a cielo aperto,l'ignoranza,le ingiustizie,la pena di morte e Berlusconi che dice di amare la Sardegna e poi sconvolge il territorio per le sue comodità.
Ne avrei ancora tante altre ma mi fermo qui per ora.Saluti Nando Ragni

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